Ah,
improvvisamente risorgono fantasmi dalla Valle dei Templi magari, non
sia mai, si dovesse perpetrare un ignobile tentativo di rivendicazione
pecuniaria da parte della signora la quale, in mezzo alla miriade di
parenti e affini che sempre popolano i
clan di certe popolazioni - potrebbe perfino risultare davvero facente
parte di qualche appendice di asse ereditaria... In ogni modo, la
grancassa mediatica, che non ha mai smesso di risuonare, tenta di
riprendere vigore e ricomincia a tessere quella stessa tipologia di
trame che da secoli inquinano i percorsi di sviluppo socio-economico e
politico delle Nazioni, rinverdendo i toni ironico-sardonici dei libri
pubblicati nella Collana Rosa di Delly. Ma anche alle serpi, un bel
giorno, la lingua s'avrà da spuntare...
Se volgiamo lo sguardo indietro nei secoli, vediamo che molti sono gli
esempi di come detti percorsi siano ciclicamente manipolati ad arte. Uno
degli ultimi e di maggior respiro, poiché lanciava messaggi a vasto
raggio - che, se letto in chiave attuale si attaglia alla pervicace
lotta messa in atto contro la Democrazia di questo Paese, infilzando gli
aghi nella pelle del Cavaliere Silvio Berlusconi, Presidente del
Consiglio dell'ultimo Parlamento Italiano legittimato dal voto popolare
e in primis, nella nostra -, è quello della rete di distruzione
mediatica tessuta ad arte attraverso delegazioni, ambascerie, spie e
cortigiani, governi altri, ingordi, contro Re Ferdinando II di Borbone.
Ovviamente, rendendo omaggio al carattere di "corso e ricorso" della
Storia stessa, teorici e studiosi, indipendenti o prezzolati, hanno
regolarmente sviscerato i meccanismi che tali ricorsi rendevano
possibili. Un tempo erano i cavalli a trasportare i messaggi, oggi i
mezzi cosiddetti di informazione, avendo consolidato una squallida forma
di quinto potere volgarmente e abbondantemente prezzolato,
subliminalmente riducono i rimasugli di pensiero di quella parte di
Popolo che rimane "popolino", in poltiglia.
Dal blog di Angelo Forgione: La vera storia di Napoli in 3D
“È
stato scritto che esistono due storie: la storia ufficiale, menzognera,
che ci viene insegnata e una storia segreta dove si trovano le vere
cause degli avvenimenti, una storia vergognosa. Qual è la vera storia di
Napoli?”
In
una situazione mediatica che vede la città di Napoli, ed il territorio
campano, soccombere ai soliti luoghi comuni ed alla cattiva immagine,
figlia di un’oleografia demagogica e obsoleta, Pixel ‘06, raccogliendo
le indicazioni e la grande creatività di Luciano De Fraia, è riuscita
nel suo intento: realizzare un documentario sulla storia di Napoli che
per chiarezza espositiva, documentazione e altissime personalità
intervistate, rende indimenticabile il fascino bimillenario di una città
unica al mondo, per il suo vissuto e per il suo ineguagliabile
patrimonio storico, artistico e culturale.
Le
impressioni evidenti che vengono fuori dalla visione del DVD sono due;
la prima, meno marcata, ma evidente per chi è appassionato di storia
napoletana, è la predilezione delle istanze francesi-giacobine rispetto
al filone borbonico. Sul piatto della bilancia, eccessivo peso viene
dato alla dura repressione borbonica dei cosiddetti “martiri del ’99”
senza far pesare in alcun modo l’inconsistenza dei falsi ideali
repubblicani che funsero da alibi per spogliare la città delle sue
ricchezze, durando per questo soli sei mesi. Giusti meriti vengono dati a
Gioacchino Murat così come a Carlo III di Borbone, ma l’immagine di
Ferdinando II è quella che viene più penalizzata perchè ritenuto
responsabile di un’autarchia dispotica che era invece un’opposizione
ferma e decisa alle brame delle massonerie internazionali pronte a
divorare e spazzare via la città e il suo regno dal panoramo geopolitico
europeo. Dei meriti di Ferdinando II, capace di veicolare Napoli verso
il progresso e la modernizzazione dell’epoca, ci sono poche tracce, così
come nessun riferimento si fa proprio alle massonerie internazionali
che ricoprirono un ruolo cardine in quegli anni di tumulti,
sostanzialmente assenti in un percorso didattico che riduce
l’approssimarsi all’appuntamento unitario ad un esclusivo interesse
politico-sociale nazionale.
La
seconda impressione evidente, più marcata della prima, è il cambio di
registro interpretativo ed emotivo al momento del racconto
risorgimentale. L’unità d’Italia viene descritta per quella che è (anche
nei titoli): una colonizzazione. A questo punto spariscono dal racconto
coloro che più hanno esaltato le istanze francesi e restano sulla
scena, oltre la narratrice che sembra interpretare il sentimento di De
Fraia, quelli evidentemente più arrabbiati: Nicola Spinosa e Peppe
Barra.
Cambia
registro anche la colonna sonora e si racconta con evidente
risentimento ed emozione, che ricade sullo spettatore, delle
promesse-bugie di Garibaldi, del ruolo assegnato alla camorra per
l’affermazione coatta del piano unitario, delle nefandezze dei Savoia,
dei falsi plebisciti, del saccheggio delle regge napoletane, della
perdita dell’ossatura industriale, del patrimonio edilizio e di quello
economico, della distruzione del tessuto sociale meridionale a colpi di
leggi speciali per piegare le rivolte.
Barra
individua nell’incontro di Teano l’inizio della distruzione culturale
di Napoli e del Mezzogiorno, e nel sottostare alla colonizzazione
l’origine delle disgrazie.
Spinosa
spiega l’Italia che nasce, «un’Italia che prima scambiava le sue
culture e che da quel momento (e fino ad oggi, ndr) non appartiene a
nessuno», domandandosi quali potessero essere le reazioni dei napoletani
di allora per lanciare una riflessione che è al tempo stesso una
sentenza: «Garibaldi crea entusiasmo perchè può riscattarci dalla
cattiva gestione borbonica? Ma consegna un mezzogiorno ricco ai Savoia».
Ecco dunque cosa bisogna chiedersi, e Spinosa lo fa intendere alla
perfezione: cos’era dunque la “cattiva gestione” borbonica se poi
«quello stato era al centro d’Europa, la produzione artistica era
notevolissima, e pur tra tante miserie c’erano manifestazioni di
altissima cultura e straordinaria civilità»? Con passione evidente, l’ex
sovrintendente si dichiara a voce alta «occupato in quanto cittadino
napoletano» e accusa con disprezzo l’aristocrazia napoletana che tradì
Napoli per trasferirsi alla corte sabauda.
Il
DVD si chiude con la lettera di Giustino Fortunato in cui si legge che
“l’unità ci ha perduti per profondere i suoi benefici nelle province
settentrionali”. E la platea si abbandona ad un convinto applauso.
Un
lavoro ricco di carica emotiva, dunque, soprattutto nella parte
conclusiva. Con qualche pecca narrativa e tecnica (l’audio di alcuni
protagonisti non è perfetto), ma che alla fine rende in maniera
ineccepibile l’idea dell’unica grande verità centrale: l’unità andava
fatta, ma non questa. E le disastrose conseguenze le paghiamo ancora
oggi con una “questione meridionale” nata ad arte allora e mai azzerata.
Il valore didattico dell’opera è tutto qui. E la presentazione
all’indomani della chiusura dell’anno delle retoriche celebrazioni
unitarie, in un luogo così simbolico, ha lanciato un messaggio chiaro
alle istituzioni ma anche ai napoletani ancora ignari. Sempre meno,
ormai."