giovedì 12 marzo 2015

Allarmi, il grande Silvio è stato assolto!!!

Ah, improvvisamente risorgono fantasmi dalla Valle dei Templi magari, non sia mai, si dovesse perpetrare un ignobile tentativo di rivendicazione pecuniaria da parte della signora la quale, in mezzo alla miriade di parenti e affini che sempre popolano i clan di certe popolazioni - potrebbe perfino risultare davvero facente parte di qualche appendice di asse ereditaria... In ogni modo, la grancassa mediatica, che non ha mai smesso di risuonare, tenta di riprendere vigore e ricomincia a tessere quella stessa tipologia di trame che da secoli inquinano i percorsi di sviluppo socio-economico e politico delle Nazioni, rinverdendo i toni ironico-sardonici dei libri pubblicati nella Collana Rosa di Delly. Ma anche alle serpi, un bel giorno, la lingua s'avrà da spuntare...

Se volgiamo lo sguardo indietro nei secoli, vediamo che molti sono gli esempi di come detti percorsi siano ciclicamente manipolati ad arte. Uno degli ultimi e di maggior respiro, poiché lanciava messaggi a vasto raggio - che, se letto in chiave attuale si attaglia alla pervicace lotta messa in atto contro la Democrazia di questo Paese, infilzando gli aghi nella pelle del Cavaliere Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio dell'ultimo Parlamento Italiano legittimato dal voto popolare e in primis, nella nostra -, è quello della rete di distruzione mediatica tessuta ad arte attraverso delegazioni, ambascerie, spie e cortigiani, governi altri, ingordi, contro Re Ferdinando II di Borbone. Ovviamente, rendendo omaggio al carattere di "corso e ricorso" della Storia stessa, teorici e studiosi, indipendenti o prezzolati, hanno regolarmente sviscerato i meccanismi che tali ricorsi rendevano possibili. Un tempo erano i cavalli a trasportare i messaggi, oggi i mezzi cosiddetti di informazione, avendo consolidato una squallida forma di quinto potere volgarmente e abbondantemente prezzolato, subliminalmente riducono i rimasugli di pensiero di quella parte di Popolo che rimane "popolino", in poltiglia.

Dal blog di Angelo Forgione: La vera storia di Napoli in 3D
“È stato scritto che esistono due storie: la storia ufficiale, menzognera, che ci viene insegnata e una storia segreta dove si trovano le vere cause degli avvenimenti, una storia vergognosa. Qual è la vera storia di Napoli?”
In una situazione mediatica che vede la città di Napoli, ed il territorio campano, soccombere ai soliti luoghi comuni ed alla cattiva immagine, figlia di un’oleografia demagogica e obsoleta, Pixel ‘06, raccogliendo le indicazioni e la grande creatività di Luciano De Fraia, è riuscita nel suo intento: realizzare un documentario sulla storia di Napoli che per chiarezza espositiva, documentazione e altissime personalità intervistate, rende indimenticabile il fascino bimillenario di una città unica al mondo, per il suo vissuto e per il suo ineguagliabile patrimonio storico, artistico e culturale.

Le impressioni evidenti che vengono fuori dalla visione del DVD sono due; la prima, meno marcata, ma evidente per chi è appassionato di storia napoletana, è la predilezione delle istanze francesi-giacobine rispetto al filone borbonico. Sul piatto della bilancia, eccessivo peso viene dato alla dura repressione borbonica dei cosiddetti “martiri del ’99” senza far pesare in alcun modo l’inconsistenza dei falsi ideali repubblicani che funsero da alibi per spogliare la città delle sue ricchezze, durando per questo soli sei mesi. Giusti meriti vengono dati a Gioacchino Murat così come a Carlo III di Borbone, ma l’immagine di Ferdinando II è quella che viene più penalizzata perchè ritenuto responsabile di un’autarchia dispotica che era invece un’opposizione ferma e decisa alle brame delle massonerie internazionali pronte a divorare e spazzare via la città e il suo regno dal panoramo geopolitico europeo. Dei meriti di Ferdinando II, capace di veicolare Napoli verso il progresso e la modernizzazione dell’epoca, ci sono poche tracce, così come nessun riferimento si fa proprio alle massonerie internazionali che ricoprirono un ruolo cardine in quegli anni di tumulti, sostanzialmente assenti in un percorso didattico che riduce l’approssimarsi all’appuntamento unitario ad un esclusivo interesse politico-sociale nazionale.
La seconda impressione evidente, più marcata della prima, è il cambio di registro interpretativo ed emotivo al momento del racconto risorgimentale. L’unità d’Italia viene descritta per quella che è (anche nei titoli): una colonizzazione. A questo punto spariscono dal racconto coloro che più hanno esaltato le istanze francesi e restano sulla scena, oltre la narratrice che sembra interpretare il sentimento di De Fraia, quelli evidentemente più arrabbiati: Nicola Spinosa e Peppe Barra.
Cambia registro anche la colonna sonora e si racconta con evidente risentimento ed emozione, che ricade sullo spettatore, delle promesse-bugie di Garibaldi, del ruolo assegnato alla camorra per l’affermazione coatta del piano unitario, delle nefandezze dei Savoia, dei falsi plebisciti, del saccheggio delle regge napoletane, della perdita dell’ossatura industriale, del patrimonio edilizio e di quello economico, della distruzione del tessuto sociale meridionale a colpi di leggi speciali per piegare le rivolte.
Barra individua nell’incontro di Teano l’inizio della distruzione culturale di Napoli e del Mezzogiorno, e nel sottostare alla colonizzazione l’origine delle disgrazie.
Spinosa spiega l’Italia che nasce, «un’Italia che prima scambiava le sue culture e che da quel momento (e fino ad oggi, ndr) non appartiene a nessuno», domandandosi quali potessero essere le reazioni dei napoletani di allora per lanciare una riflessione che è al tempo stesso una sentenza: «Garibaldi crea entusiasmo perchè può riscattarci dalla cattiva gestione borbonica? Ma consegna un mezzogiorno ricco ai Savoia». Ecco dunque cosa bisogna chiedersi, e Spinosa lo fa intendere alla perfezione: cos’era dunque la “cattiva gestione” borbonica se poi «quello stato era al centro d’Europa, la produzione artistica era notevolissima, e pur tra tante miserie c’erano manifestazioni di altissima cultura e straordinaria civilità»? Con passione evidente, l’ex sovrintendente si dichiara a voce alta «occupato in quanto cittadino napoletano» e accusa con disprezzo l’aristocrazia napoletana che tradì Napoli per trasferirsi alla corte sabauda.
Il DVD si chiude con la lettera di Giustino Fortunato in cui si legge che “l’unità ci ha perduti per profondere i suoi benefici nelle province settentrionali”. E la platea si abbandona ad un convinto applauso.
Un lavoro ricco di carica emotiva, dunque, soprattutto nella parte conclusiva. Con qualche pecca narrativa e tecnica (l’audio di alcuni protagonisti non è perfetto), ma che alla fine rende in maniera ineccepibile l’idea dell’unica grande verità centrale: l’unità andava fatta, ma non questa. E le disastrose conseguenze le paghiamo ancora oggi con una “questione meridionale” nata ad arte allora e mai azzerata. Il valore didattico dell’opera è tutto qui. E la presentazione all’indomani della chiusura dell’anno delle retoriche celebrazioni unitarie, in un luogo così simbolico, ha lanciato un messaggio chiaro alle istituzioni ma anche ai napoletani ancora ignari. Sempre meno, ormai."